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Recensione di Elisabetta Roncati

Oltre la tela verso materia,
trasfigurazione e luce
“Write your era”, l’opera inedita che dà il titolo
a questa retrospettiva, è il punto di partenza
per l’analisi dell’espressività di Air Daryal,
un’artista in costante evoluzione, che non
smette mai di stupire. Air Daryal invita lo
spettatore ad andare oltre la visione, oltre il
soggetto rappresentato, oltre la tela. In questo
specifico caso il dipinto sembra, di primo
acchito, facilmente analizzabile: sono molti gli
elementi che l’occhio umano riconosce. Due
tigri, un interno, dei rimandi alla classicità,
eppure qualcosa sfugge. La vista si perde nei
dettagli: il corrimano dello scalone che non
si sa dove conduca, i frammenti di lettere sul
bordo inferiore. La mente girovaga cercando
un punto di fuga che non riesce ad individuare.
La soluzione è dunque una sola: costruire la
propria narrazione, proiettare nella tela il
nostro vissuto, anche circostanziale, fabbricare
il proprio racconto. In poche, concise parole:
“scrivere la propria era”.
Imperativo categorico che assume ancora più
significato in quest’anno che ha sconvolto il
mondo e obbligato a ripensare alle modalità
della nostra esistenza. Ecco dunque che si è
tornati al punto di partenza, al titolo dell’opera
e dell’intera esposizione. Ma il grande potere,
l’incanto che Air Daryal esercita sullo spettatore
non si conclude nel sapiente utilizzo degli
strumenti iconografici e nel profondo sforzo
riflessivo che l’artista stessa compie nell’atto
creativo. Un vero e proprio “corpo a corpo” con
la tela, come ho dedotto dalle conversazioni
che ho intrattenuto con lei.
Se si segue questo invito ad andare oltre,
partendo proprio dai simboli, si noterà come
l’esperienza di Air Daryal sia profondamente
radicata non solo nella classicità, ma sia la
naturale prosecuzione dell’opera di alcuni

grandi della storia dell’arte moderna e
contemporanea.
La tigre, una delle figure ricorrenti nelle sue
tele, suggerisce da subito profondi rimandi ad
Antonio Ligabue. Nulla però di aggressivo, di
tormentato. O meglio un tormento differente,
una “quiete dopo la tempesta” che le tigri di Air
Daryal incarnano. Sempre guardinghe, figlie
di quegli animali dipinti da A. Ligabue che
erano emblemi del malessere nei confronti
dell’aspetto cattivo e violento che, a volte,
connatura l’essere umano.
C’è però una differenza fondamentale tra i due
creativi.
Infatti, a differenza dello sfortunato pittore
autodidatta dalla vita travagliata, per giungere
a questa potenza espressiva Air Daryal ha
seguito un percorso inverso. Da talento
accademico, incline ad espressioni artistiche
ricalcanti virtuosismi di numi tutelari quali
i grandi maestri del Rinascimento, fino
ad arrivare a Michelangelo Merisi, detto il
Caravaggio, e a Giovanni Antonio Canal, detto
il Canaletto, Air Daryal si è spogliata della sua
preparazione per guardare dentro di sé. Un
percorso di
γνῶθι σεαυτόν (“conosci te stesso”) che l’ha
condotta, dopo gli studi al Liceo artistico di
Bergamo ed all’Accademia di Brera, ad avere il
coraggio di usare liberamente la sua maestria
per esprimere appieno il suo stile. La grande
padronanza del dipingere, dimostrata già in
tenera età, le è servita e ancora le serve per
arrivare a massimi virtuosismi espressivi, ma il
sollievo e la piena padronanza di sé la trova
nella natura.
Dai simboli si passa poi all’espressione
gestuale e pittorica nuda e cruda, da Antonio
Ligabue ad altri maestri. Molto spesso per
definire la produzione di Air Daryal sono stati
appaiati i termini “astrazione” e “figurazione”.

Il primo riscontrato, ad esempio, nella serie di opere esposta presso la Fondazione Maimeri
nel 2018 (“The Shining Hardness”, a cura di
Angelo Crespi). Non è però quasi mai stata
un’astrazione purissima. Allo spettatore pareva
sempre di riconoscere degli elementi familiari,
seppur non immediatamente percepibili
dall’occhio umano. Accenni, sfumature,
velatissimi bozzetti. Ed ecco che entra in gioco
il termine “figurazione”.
I due sostantivi non sono in antitesi, al
contrario di quanto la logica giustamente
afferma. Dunque un’“astrazione figurativa”, o
meglio un’”astrazione nella figurazione” che
richiama innumerevoli considerazioni di cui è
stato oggetto il grande artista tedesco Gerard
Richter.
Nelle opere di Air Daryal la figurazione e la
forma astrattamente gestuale stanno l’una
accanto all’altra senza contrapposizione,
come possibile interpretazione della realtà.
Quando Air inserisce delle figure, siano esse
appartenenti al mondo vivente o inanimato
(pensiamo alle sculture classicheggianti od
alle architetture), la loro chiarezza visiva è
in realtà relativa. Le si riconosce, ma la loro
essenza viene messa in discussione. Si rivelano
dei simulacri, delle parvenze di quei significati
che per consuetudine linguistica e visiva gli si
attribuisce.
Questo effetto Air Daryal lo ottiene grazie ad
un particolare uso della componente materica.
Infatti, la possente matericità che traspare
dalle sue tele sembra sgretolarsi, aprendosi ad
una sorta di progressiva sfocatura. Similmente
ad alcune composizioni di Richter che
rappresentano porzioni riprese dalla realtà.
Volendo scavare ancora più a fondo nelle radici
della storia artistica novecentesca si arriva
così all’informale e ad alcuni stralci del testo
princeps di quella che, negli Anni Cinquanta
del Novecento, era considerata una nuova
dimensione di ricerca. In “Un art autre” Michel

Con la tela la giovane artista instaura un atto di
conoscenza reciproca: la pittrice demiurgo si
fa tutt’uno con l’informe materia che prenderà
una dimensione definita alla fine dell’atto
maieutico.
I risultati di questo complesso ciclo di
creazione, siano essi tendenti più al figurativo
od all’astratto come prima analizzato, sono
accomunati da un elemento che ho già citato:
la matericità.
Risulta quasi impossibile allo spettatore, dopo
una prima visione delle opere di Air Daryal
ad una adeguata distanza, non avvicinarsi ad
esse e tentare di sfiorarle. Ed è proprio nel
dadaistico inserimento di più materiali, spesso
lasciati a vista, nelle increspature di alcuni
pezzi di carta, che si ravvede la forza creatrice
che ha reso possibile il risultato. Un grande
sforzo per l’artista, spesso anche fisico viste le
dimensioni notevoli di molte creazioni.
Per amalgamare tutti gli elementi Air Daryal
utilizza due componenti fondamentali della
sua espressione: la luce ed il cromatismo.
Vi è sempre un sapiente gioco di luci ed ombre
nei suoi quadri. A volte la luminosità irradia
tutta la superficie, ma è quando le sue fonti
sono laterali che Air Daryal raggiunge i risultati
più stupefacenti. È la luce che contribuisce a
creare quella straniante sensazione di “finito/
non finito” che rapisce lo spettatore e lo avvia
verso universi paralleli. È il gioco dei riflessi
che permette ai suoi collezionisti di vedere
sempre qualcosa di nuovo, perfino nelle opere
che adornano le loro case già da molto tempo.
Solo l’artista stessa comprende quando una
sua creazione è davvero finita, come è giusto
che sia, similmente ad un direttore d’orchestra
al termine di un concerto. Agli astanti non
resta che domandare, inebriati, un bis.
Il secondo immancabile elemento a
completamento delle opere di Air Daryal è il
cromatismo, in prevalenza declinato sui toni

Tapié scriveva: “Il problema non consiste più
nel sostituire un tema figurativo con un’assenza
di tema e cioè con l’arte cosiddetta astratta,
non figurativa, non oggettiva, ma piuttosto nel
creare un’opera, con o senza tema, davanti
alla quale, qualunque sia l’aggressività o la
banalità del contatto epidermico, ci si accorga
a poco a poco che si perde terreno e che
inesorabilmente si è chiamati a entrare in uno
stato di estasi o di demenza, perché uno dopo
l’altro tutti i criteri tradizionali sono rimessi in
causa; e tuttavia una tale opera porta in se stessa
una proposta di avventura nel vero senso della
parola, ossia qualche cosa di assolutamente
sconosciuto di cui è impossibile predire l’esito
futuro”.
Come non ritrovarsi nel concetto di “oltre”
espresso da Air Daryal?
Il saggio di Tapié era accompagnato, tra le
altre, da opere di Fautrier, Dubuffet, Wols, Henri
Michaux, Pierre Soulages, Georges Mathieu,
Camille Bryen, Jean-Paul Riopelle, Karel
Appel, Mark Tobey, Jackson Pollock, Giuseppe
Capogrossi, Gianni Dova e Hans Hofmann.
Ed è proprio su quest’ultimo che mi voglio
soffermare riflettendo sulla tecnica pittorica
di Air Daryal. L’artista europeo, nazionalizzato
americano, già dai primi Anni Quaranta del
Novecento anticipa la tecnica del dripping
sulla tela orizzontale, che sarà poi ripresa dal
già citato Pollock e da Sam Francis in verticale.
Air Daryal, nei suoi compositi mixed media,
lascia scivolare striature di colore sulla
superficie, in una sorta di “scontro” con il canvas.
Gestualità forti che catapultano l’artefice nella
materia viva, divenendo un tutt’uno con la
sua composizione, per poi riemergere da essa
una volta terminata. A differenza degli artisti
americani i quadri di Air Daryal sono sempre
caratterizzati dall’equilibrio, guidati da quel
νοῦς che è alla base della sua espressione e
che prende piena forma nei titoli delle opere.

dei bianchi, dei grigi e dei blu, quasi a ricordare
le atmosfere “lacustri” delle sue origini. A
volte le cromie sono forti, colpiscono l’occhio,
ma sono abilmente inserite in un contesto
evanescente, lattiginoso, freddo che trasforma
l’insieme in una sinfonia.
Nell’analisi dell’espressione creativa di Air
Daryal c’è ancora un ultimo punto che mi
preme sottolineare, vista la mia formazione.
Uno dei dettagli che più mi ha colpita,
osservando le sue composizioni ritraenti città,
è il mix di elementi inseriti.
Ad un primo sguardo le tele sembrano ritrarre
metropoli futuristiche, dove è totalmente
assente l’elemento umano. In realtà, con
una visione attenta, si colgono dei dettagli
importanti: i rimandi al passato sono sì
molteplici (architetture classiche nascoste qua
e là, tra auto ed insegne contemporanee), ma
non è tutto. Air Daryal non ci permette solo di
viaggiare nel tempo, in un continuo richiamo
agli albori delle civiltà. A volte nelle sue tele
compaiono elementi orientali come cupole
o strutture allungate. L’artista si dimostra così
una sorta di ponte tra culture. Ed è qui che ci si
accorge che le sue opere non sono prive della
componente umana.
L’umanità è semplicemente nascosta allo
sguardo.
E con i suoi rimandi, con i suoi indizi quali le
lettere fluttuanti in alcuni quadri, Air Daryal
lancia un importante messaggio: il genere
umano si potrà salvare solo se imparerà dai
propri sbagli.
Gli errori che, nel corso della storia, abbiamo
commesso verso i nostri simili e verso il pianeta.